La chiesa rupestre di Santa Margherita è collocata alla periferia del comune di Melfi e rappresenta un autentico gioiello medioevale. Completamente scavata nel tufo vulcanico e definita da un impianto architettonico a croce latina, presenta un’unica navata divisa in due moduli, coperti da volte a crociera che, nell’enfasi dell’arco acuto, denunciano un marcato orientamento verso lo stile gotico. La navata è fiancheggiata da quattro cappelle laterali di diversa profondità, tutte con volta a botte. Due altari, ricavati nella roccia, occupano il fondo dell’abside e della prima cappella di sinistra, mentre due sedili di pietra fiancheggiano la parete esterna delle due cappelle più lontane dall’ingresso. Sulla parete absidale si trova l’immagine di Santa Margherita raffigurata con una ricca veste gotica alla francese. L’affresco è disposto al centro di due “tabelloni” a riquadri, quattro per parte, che narrano la storia della vita della Santa. Sull’arcone absidale spiccano i simboli degli Evangelisti, racchiusi entro cerchi vivacemente tinteggiati. Lateralmente, sempre nell’arcone absidale sono individuabili le figure di San Pietro, San Paolo e San Nicola.
Sulla parete sinistra della navata si trovano le immagini ieratiche di Santa Lucia e di Santa Caterina d’Alessandria, mentre sulla parete destra e nella cappella a destra dell’ingresso sono raffigurate le scene dei martirii di San Lorenzo, Santo Stefano e Sant’Andrea.

Nella cappella a sinistra dell’ingresso, dedicata a San Michele, si trovano gli affreschi di Cristo in trono, dello stesso San Michele Arcangelo, di una Madonna in trono col Bambino e infine il Contrasto dei vivi e dei morti, che tanto interesse ha suscitato negli studiosi.
In questa raffigurazione compaiono sulla destra due scheletri (un terzo era probabilmente presente nella parte distrutta del dipinto) e sulla sinistra tre figure laiche, in tenuta da falconiere, che sembrano dialogare con i defunti. Nel 1993 il prof. Lello Capaldo ha sviluppato la tesi secondo cui i tre vivi sarebbero i componenti della famiglia imperiale sveva: Federico II con il figlio Corrado e la moglie Isabella d’Inghilterra. Gli affreschi possono essere collocati nel periodo che va dal XIII al XIV sec. e richiamano con ogni evidenza schemi figurativi del periodo post-svevo legati stilisticamente a caratteri propri della cultura meridionale.

Nel passato, anche recente, la cripta ha subito una serie di interventi di restauro preceduti da tentativi di protezione dalle acque di infiltrazione. Infatti, la chiesa-grotta è posta al di sotto (poco più di 5 metri) della scarpata stradale della statale che congiunge Melfi a Rapolla. Questa infelice ubicazione, con il conseguente scolo delle acque piovane e con l’infiltrazione di vene sorgive, ha costituito il problema principale per la buona conservazione degli affreschi.

Obiettivo dell’iniziativa di recupero e valorizzazione, condotta dalla Fondazione Zétema in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Restauro (ICR) di Roma, è stato quello di completare l’intervento di tutela, conservazione e restauro, restituendo il giusto pregio all’esempio più rappresentativo di arte pittorica rupestre della zona del Vulture.

Anche in questo caso è stato seguito il protocollo operativo utilizzato per il restauro della Cripta del Peccato Originale e dunque, dopo le necessarie indagini diagnostiche, sono state effettuate opere di difesa dall’umidità, è stata sistemata la pavimentazione interna ed esterna, è stato eseguito un nuovo allestimento di illuminazione interna con l’impiego di un impianto a fibre ottiche e, infine, il restauro degli affreschi. Il progetto ha previsto la realizzazione del sistema di smaltimento delle acque superficiali, disperse sull’estradosso del banco roccioso di copertura della zona di ingresso. La chiesa è stata riaperta alla pubblica fruizione il 10 gennaio 2011.